I contratti finanziari delle imprese di assicurazione

Published On: 05/09/2024Categories: blog
Polizza assicurativa

L’assicurato-investitore: prodotti, offerta e responsabilità

La locuzione assicurazione ed investitore induce ad una prima seppur breve precisazione, in quanto, vedete, si da per presupposto che vi sia un legame tra il contratto di assicurazione e la figura dell’investitore, si da per scontato, cioè, che l’assicurato, la controparte dell’impresa di assicurazione possa essere un investitore.

Se si prende però in esame la nozione di contratto di assicurazione posta dal codice civile, ci si rende conto agevolmente che cosi non è, in quanto l’assicurato come individuato dal codice civile non può essere in alcun caso un investitore e il contratto di assicurazione – sia il contratto di assicurazione contro i danni ma anche quello sulla vita – è intrinsecamente inidoneo ad assumere una funzione di investimento o, comunque, ad essere un contratto finanziario. Si è innanzi ad un contratto aleatorio nell’ambito del quale viene perseguita una funzione indennitaria (ossia ripristino del patrimonio dell’assicurato dalla diminuzione determinata dall’evento dannoso futuro e incerto) nell’assicurazione contro i danni, ovvero una funzione previdenziale (corresponsione di una somma di denaro rendita o capitale a fronte del verificarsi di un evento della vita umana idoneo a far sorgere un bisogno in capo all’assicurato, somma che ha la funzione appunto a far fronte a tale bisogno), nella assicurazione sulla vita.

Si tratta dunque di operazioni del tutto estranee all’area dell’investimento, ossia alla gestione dei capitali di un individuo (o di un impresa) sottratte al consumo e affidate ad altri al fine di incrementarle.   

Ciò nonostante, l’accostamento tra settore assicurativo e fenomeno dell’investimento proposto dagli organizzatori del convegno non solo è del tutto esatto ma è anche affatto pertinente ed attuale, in quanto non c’è dubbio che, allo stato, una porzione assai significativa dell’attività posta in essere dalle imprese di assicurazione sia di natura squisitamente finanziaria o di investimento.

Quanto detto emerge con chiarezza se si assume la piena consapevolezza della fondamentale distinzione esistente – sul piano sia concettuale che anche terminologico – tra «i contratti emessi da imprese di assicurazione» (Art. 1 delle definizioni dei prodotti assicurativi, lett. ss. cod. ass.) e i contratti di assicurazione in senso stretto di cui all’art. 1882 cod. civ. 

I primi, ossia «i contratti emessi da imprese di assicurazione » nell’esercizio delle attività rientranti nei rami vita o nei rami danni come definiti dall’art. 2».  individuano i limiti della attività contrattuale delle imprese di assicurazione e, quindi, riguardano, tutti i contratti che le imprese possono stipulare senza fuoriuscire dall’oggetto sociale. Per individuare questi contratti occorre far riferimento alla descrizione delle operazioni che ricorrono nei rami vita e danni (art. 2 cod. ass.).

Tra queste operazioni ci sono anche contratti squisitamente finanziari e di investimento (rami III e V vita). Come emergerà meglio dalla relazione della dott.ssa Piras. 

I secondi come ho appena ricordato e come tutti sappiamo configurano due circoscritti modelli di negozi aleatori, disegnati dal legislatore del 42 e caratterizzati dal rischio dell’evento futuro ed incerto e connotati dalla causa indennitaria o previdenziale.

Al riguardo, osserviamo brevemente che vi sono una serie di disposizioni – tra le quali le principali sono quelle generali sul contratto contenute nel codice delle assicurazioni (titoli XII e XIII) – applicabili a tutti i contratti emessi da imprese di assicurazione (contratti rientranti in tutti i rami). Queste norme, anche numericamente significative, nel loro insieme danno luogo ad un vero e proprio statuto generale della attività negoziale suscettibile di essere legittimamente e validamente posta in essere dalle imprese di assicurazione in quanto come detto rientrante nel loro oggetto sociale (art. 11, comma secondo, cod. ass.).

Tali norme sono oggettivamente orientate a proteggere due interessi fondamentali dell’assicurato:

a) quello al consenso consapevole ed informato, ossia alla conoscenza esaustiva dei diritti e degli obblighi e, più in generale, dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dal contratto

b) quello alla sana e prudente gestione da parte dell’impresa e, quindi, alla solvibilità e alla solidità finanziaria della stessa.

Con riferimento al primo interesse, ossia alla tutela nei confronti delle asimmetrie informative, assume rilievo un sistema organico ed articolato di regole, che – colmando, seppure in ritardo, un vuoto che per molti anni ha caratterizzato il settore assicurativo rispetto agli altri due comparti del mercato finanziario – impone all’impresa una condotta trasparente sia nella fase di stipulazione che in quella di esecuzione del contratto. Tale disciplina è contenuta nell’art. 166 che stabilisce i criteri di redazione del contratto, precisando che debbono essere indicate chiaramente le clausole che prevedono decadenze, nullità o limitazioni delle garanzie o, ancora, oneri a carico del contraente o dell’assicurato e negli art. 182-187, che pongono una compiuta e analitica disciplina della trasparenza, concernente i doveri di pubblicità dei prodotti e gli obblighi di comportamento nella offerta e nella esecuzione dei contratti con particolare riferimento alla predisposizione della nota informativa. 

Il secondo interesse è, invece, contemplato con estrema chiarezza dall’art. 183, primo comma, sub d), il quale dispone che nell’offerta e nell’esecuzione del contratto l’assicuratore è tenuto a «realizzare una gestione finanziaria indipendente sana e prudente e ad adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei contraenti e degli assicurati ». Esso è poi presidiato dall’art. 167 che prevede un peculiare e non facilmente inquadrabile  rimedio contrattuale per le ipotesi nelle quali il contratto venga stipulato con una impresa non autorizzata – e, quindi, senza il necessario controllo sulla solvibilità -, o nei cui confronti sia stato emanato il divieto di assumere nuovi affari – ossia un provvedimento amministrativo che sanziona le gravi e reiterate violazioni delle regole sulle riserve tecniche -. Comprovano, infine, l’esigenza di salvaguardare l’interesse dell’assicurato ad avere come controparte un soggetto solvibile, l’art. 168 che, in caso di trasferimento di portafoglio, consente all’assicurato di recedere nell’ipotesi in cui l’impresa cessionaria non è soggetta ai controlli volti a garantirne la stabilità e, inoltre, gli artt. 242, comma terzo e 240, comma quinto (da un lato) e 169 (dall’altro), che consentono altresì il recesso, rispettivamente, in caso di revoca parziale (rectius con riguardo ad alcuni dei rami esercitati) dell’autorizzazione e quando viene disposta la liquidazione coatta ossia in presenza di situazioni di grave dissesto dell’impresa accertate dalla Autorità amministrativa.

Dal punto di vista sistematico l’individuazione di questo assetto normativo, seppure limitato in quanto circoscritto a tutelare i fondamentali principi dei quali si è appena detto, è molto importante in quanto ci consente di registrare:

1) che la tipologia delle operazioni negoziali contemplate dal legislatore settoriale nella elencazione dei rami danni e vita (art. 2 cod. ass.) non coincide – in quanto è molto più ampia – con quella desumibile dalla definizione dell’art. 1882 c.c., alla quale si riferisce la successiva disciplina del codice civile.

2) che vi sono numerose e importati figure contrattuali stipulate da imprese di assicurazioni che vanno necessariamente collocate al di fuori dai contratti di assicurativi in senso stretto, in quanto sono prive di un elemento considerato dal legislatore del “42 (artt. 1882 e 1895) essenziale e caratterizzante, quale il rischio assicurativo, essendo del tutto evidente che, in siffatti contesti, la prestazione dell’impresa non è collegata al verificarsi di un evento futuro ed incerto

In particolare: 

a) le espressioni più significative di tale fenomeno sono sicuramente costituite dai contratti di risparmio e di investimento stipulati dalle imprese di assicurazione di cui parleremo tra breve

b) Al di fuori dall’ambito della raccolta e della gestione del risparmio, un’altra importante manifestazione di contratto “non assicurativo” può rinvenirsi nelle polizze cauzionali o fideiussorie. Infatti, secondo un condivisibile orientamento oramai fatto proprio anche dalla giurisprudenza, tali operazioni, benché contemplate nel comparto danni (art. 2, comma terzo, ramo 15 danni cod. ass.), non configurano contratti di assicurazione (contro i danni) ma, in quanto connotate dalla clausola a prima richiesta e senza eccezioni, vanno piuttosto considerate garanzie personali del credito assimilabili, nella sostanza, al c.d. contratto autonomo di garanzia.

c) infine potrebbe esservi qualche ostacolo ad ascrivere tra i contratti assicurativi in senso proprio i contratti di assicurazione di assistenza di immediato aiuto alle persone in situazione di difficoltà (contemplato e disciplinato dagli artt. 1, comma terzo, ramo 18 danni e 175 cod. ass.) e di tutela legale (artt. 1, comma terzo, ramo 17 danni e 173-175 cod. ass.), dal momento che tali figure prevedono o possono prevedere una prestazione in natura dell’assicuratore in luogo della obbligazione pecuniaria di pagamento dell’indennizzo che, ai sensi dell’art. 1882 c.c., connota lo schema codicistico dell’assicurazione (contro i danni).

Considerazione conclusiva dal punto di vista sistematico:

La presenza di una serie di contratti – prevalentemente ma non esclusivamente di natura finanziaria – che le imprese di assicurazione sono autorizzate a stipulare e che costituiscono un segmento oramai assai rilevante – dal punto di vista non solo quantitativo ma anche qualitativo – della attività assicurativa, ai quali sono applicabili le disposizioni generali sul contratto del codice delle assicurazioni ma non – o, almeno, non direttamente –  le norme di cui agli artt. 1882 ss. c.c. induce a ritenere che il codice delle assicurazioni abbia sensibilmente accelerato il processo di declassazione delle Disposizioni generali sul contratto di assicurazione (Sezione I, Capo XX, Titolo III, Libro IV, cod. civ.) da normativa generale del settore assicurativo – applicabile a tutti i contratti di assicurazione –  a normazione speciale, in quanto riferibile ad una species per quanto ancora assai ampia di prodotti assicurativi: quelli caratterizzati dal rischio di un evento futuro e incerto.

C’è stata quindi una inversione rispetto a quello che poteva valere 20 anni fa. Sul piano del contratto, la normativa generale era quella codicistica dei contratti di assicurazione derogata da qualche norma speciale contenuta nella precedente normativa settoriale. Adesso c’è una normativa generale contenuta nel codice delle assicurazioni con riguardo alla quale le norme del codice civile si pongono quali norme speciali.

Prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione

Sulla base di questa premessa possiamo andare a vedere – molto sinteticamente in quanto si occuperà di tale profilo anche la dott.ssa Piras – quali sono i prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione, ossia i contratti nell’ambito dei quali la controparte dell’impresa assume il ruolo di vero e proprio investitore.

Come ha recentemente precisato il legislatore, con l’aggiunta della lettera w-bis all’art. 1 del TUF, tali modelli – significativamente denominati « i prodotti finanziari emessi dalle imprese di assicurazione » – sono rappresentati:

– dalle polizze variabili, collegate, linked (previste dagli artt. 2, comma primo, ramo III vita e 41 cod. ass.) nel cui ambito le prestazioni dell’assicuratore sono direttamente collegate alla redditività o al valore di fondi collettivi di investimento interni od esterni all’impresa (Unit linked) o ad indici azionari o altri valori di riferimento (Index linked)

– dal contratto di capitalizzazione (artt. 2, comma primo, ramo V vita e 179 cod. ass.)

– inoltre, nonostante l’omessa menzione nella ricordata lettera w-bis, riteniamo che siano da considerare operazioni che presentano una sostanziale natura finanziaria anche le gestioni, da parte delle imprese di assicurazione, del risparmio che i fondi pensione (c.d. chiusi) affidano alle stesse dopo averlo raccolto dai soggetti beneficiari.    

Come è noto e come vedremo nel dettaglio, la legge ha espressamente previsto l’applicabilità ai  prodotti finanziari delle imprese di assicurazione (ossia le polizze collegate, ramo III e il contratto di capitalizzazione) di una parte significativa della disciplina contenuta nel TUF.

Soffermiamoci sulle prime due figure ed esaminiamone il profilo causale.

Il contratto di capitalizzazione. – L’ essenza del contratto di capitalizzazione è l’incremento di un capitale nel tempo mediante l’accumulazione degli interessi prodotti dal capitale medesimo ed, eventualmente, delle rendite derivanti dagli investimenti dello stesso.

Le principali caratteristiche del contratto di capitalizzazione sono costituite dalla durata del rapporto, pluriennale almeno 5 anni, con riscatto dal secondo, e dalla c.d. garanzia di redditività, per effetto della quale, l’impresa è tenuta a pagare al capitalizzante, alla scadenza oltre all’intero capitale da questi versato nel corso del rapporto, una rendita certa – ossia una somma ulteriore predeterminata o, comunque, predeterminabile sulla base di parametri stabiliti all’atto della stipulazione – corrispondente agli interessi capitalizzati al tasso tecnico pattuito.

In questo modo il contraente è certo, sin dal momento della stipulazione del contratto, di quello che gli spetterà alla scadenza del termine per il pagamento e non corre né il rischio che venga intaccato il capitale né quello della redditività dell’investimento effettuato con tale capitale. L’eventuale clausola di partecipazione agli utili (o di rivalutazione), ossia la cointeressenza agli utili maggiori (rispetto al tasso di interesse pattuito) che l’impresa dovesse ricavare dagli investimenti del capitale ricevuto, può essere solo aggiuntiva ma mai sostitutiva rispetto al reddito (minimo) pattuito e, quindi, non può in alcun caso intaccare la certezza della capitalizzazione garantita.

Poiché, quindi, il capitalizzante non corre alcun rischio di investimento, va ulteriormente precisato che non si è innanzi ad un contratto di investimento in senso stretto (ipotesi nelle quali il finanziatore partecipa in tutto o in parte al rischio, non solo economico ma anche giuridico, accentando la possibilità che gli venga restituita una somma inferiore a quella che aveva affidato all’impresa finanziaria) bensì ad un contratto di risparmio “restitutorio” assimilabile, nella sostanza, ai fondi con obbligo di rimborso di cui all’art. 11 t.u.b. (contratti con causa di prestito).

Cenno sul concetto di risparmio: questa nozione è evocata in primis dal legislatore costituzionale il quale all’art. 47 prevede che “La repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte la sue forme”. La nozione viene precisata dall’art. 11 tub, che come è noto definisce la “raccolta del risparmio” “l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma”. Questa norma viene collegata all’art. 47 e alla stessa viene attribuita giustamente una portata sistematica nella individuazione della nozione di risparmio e quindi ben maggiore di quella svolta nel ristretto contesto del TUB.

Appartengono a questa categoria contrattuale le varie forme di depositi bancari vincolati con un temine apprezzabile per la restituzione, il mutuo (considerato nella prospettiva del mutuante-investitore), più in generale tutte le figure di finanziamento che contemplano lo schema consegna denaro contro obbligo di restituzione differita (ossia con apposizione di termini) con pagamento di interessi determinati o determinabili.

Vi rientrano anche le obbligazioni sia bancarie che societarie, anche altri strumenti finanziari ossia le ipotesi nelle quali le posizioni soggettive (la posizione debitoria) espresse dal rapporto sottostante assimilabile al mutuo sono rappresentate in documenti atti alla circolazione.   

Il contratto di capitalizzazione è dunque un contratto di prestito con il quale viene raccolto risparmio, tra il pubblico. La dottrina ha precisato che si tratta di una di quelle ipotesi nelle quali la raccolta del risparmio è consentita a soggetti diversi dalle banche (o più esattamente, come dice la legge, non è vietata, di cui alla lett. d), comma quarto, art. 11 TUB, il divieto non si applica «alle altre ipotesi di raccolta espressamente consentite dalla legge nel rispetto del principio di tutela del risparmio».

Fermo questo aspetto e sottolineata, dunque, la differenza con i contratti di investimento e, quindi, in ambito assicurativo come vedremo con le polizze variabili, anch’esse prodotti finanziari delle imprese di assicurazione, è agevole constatare la differenza tra capitalizzazione e contratto di assicurazione sulla vita. E’ vero che c’è un meccanismo analogo di accumulo ed impiego delle risorse versate dagli assicurati sotto forma di premio, ma sul piano contrattuale, ossia delle caratteristiche del contratto, le differenze sono nettissime. Avendo la legge espressamente stabilito che la prestazione del capitalizzatore debba essere del tutto indipendente da qualsivoglia evento relativo alla vita umana, non vi sono dubbi che tale figura vada collocata al di fuori dallo schema di assicurazione sulla vita descritto dall’art. 1882 c.c.

Polizze linked o variabili.

Qualche parola in più merita l’individuazione dei tratti distintivi tra le polizze linked o variabili e i contratti di assicurazione sulla vita.

Premessa su queste figure. Si tratta di modelli di « assicurazioni di cui ai rami I » (art. 2, 1° comma, cod. ass., menziona anche il ramo II ma il regolamento 29/2009, art. 6, relativo alla classificazione dei rischi all’interno dei rami, fa riferimento al solo ramo I), ossia di modelli sicuramente caratterizzati dalla sussistenza del rischio demografico, nel cui ambito, come si è detto, le prestazioni dell’impresa (al momento dell’erogazione) sono determinabili in ragione del valore delle quote di fondi di investimento (esterni o interni all’impresa) ovvero di altri valori di riferimento ai quali esse sono collegate.

Dalla definizione legislativa si evince, in particolare, che per potersi integrare la fattispecie legale del modello deve necessariamente sussistere il rischio demografico; occorre, cioè, che il regolamento contrattuale attribuisca ad un evento futuro ed incerto, attinente alla vita umana, l’idoneità ad incidere sulla esigibilità e/o sulla determinazione della prestazione dell’assicuratore (artt. 1882 e 1895 c.c.).

Fermo questo punto, occorre precisare che il rischio demografico, per quanto necessario, non costituisce elemento sufficiente per connotare in termini previdenziali il contratto stipulato dall’impresa di assicurazione. Affinché possa compiutamente realizzarsi tale funzione, infatti, occorre che gravi sull’assicuratore anche il c.d. rischio dell’investimento, ossia, in termini più espliciti, che la prestazione che questi è tenuto ad adempiere sia esigibile e/o determinabile in ragione dell’evento della vita contemplato, e, quindi, prescinda – fatta salva l’eventuale rivalutazione annuale delle somme assicurate – dall’andamento dell’impiego delle risorse acquisite dagli assicurati sotto forma di premi. Il rischio dell’impiego – dell’investimento – delle risorse raccolte sotto forme di premi, deve essere a carico dell’impresa. 

Questo punto va chiarito meglio, in quanto secondo me fondamentale.

Il quid proprium della causa previdenziale (tutelata dal legislatore all’art. 38, spec. comma quinto, che riconosce il diritto alla previdenza libera, e riconosciuta e sottolineata dalla cassazione recentemente come il presupposto per vantaggi sul piano contrattuale art. 1923 e fiscale [Cass., sez. un., 31 marzo 2008, n. 8271, in Resp. civ. prev., 2008, 1282],         dicevamo il quid proprium, consiste nel collegamento giuridico che viene istituito tra erogazione e/o determinazione della prestazione promessa dall’impresa ed insorgenza del bisogno in capo al beneficiario; le risorse non possono dunque essere svicolate dallo scopo al quale sono destinate; proprio tale legame, invero, garantisce la destinazione esclusiva di tali risorse alla soddisfazione del bisogno medesimo.

La realizzazione della funzione poggia sulla circostanza che se si verifica l’evento incerto contemplato (evento della vita), l’assicurato avrà le risorse previste (ossia la somma promessa dall’assicuratore) per fare fronte a ciò. 

Ebbene, qualora il meccanismo contrattuale ponesse l’assicurato in una situazione d’incertezza – in ordine al conseguimento della prestazione – dipendente dall’andamento dal risultato dell’impiego delle risorse, ossia dai mercati finanziari, verrebbe evidentemente frustrato in radice siffatto interesse di acquisire con certezza le somme necessarie per far fronte all’esigenza della vita, nel momento in cui essa sorge.

Di qui l’intrinseca incompatibilità tra funzione previdenziale e rischio d’investimento a carico dell’assicurato, anche in presenza del c.d. rischio demografico.

Il legislatore, tuttavia, ha contemplato la possibilità che il rischio dell’investimento possa essere totalmente espunto dalla sfera dell’assicuratore, nel momento in cui ha ammesso la stipulazione di polizze linked senza garanzia di restituzione del capitale versato o del rendimento minimo (vi sono diverse norme sia di natura primaria che regolamentare, che consentono l’ammissibilità di tali polizze; chiedo di darlo per acquisito vi porterei via troppo tempo nel richiamarle tutte).

Prendendo atto di questa realtà, un’autorevole dottrina ha qualificato queste polizze – senza garanzia di rendimento – come contratti innominati di investimento (Gambino).

L’opinione va condivisa. Quando, infatti, l’an e/o il quantum della prestazione non dipendono dall’evento della vita (o dal momento nel quale questo si verifica) ma dall’elemento finanziario, ossia dal valore che esprimono le quote degli organismi di investimento (o altri indici)  nel momento in cui l’impresa è tenuta a corrispondere il capitale o la rendita all’assicurato. deve constatarsi che questa, in realtà, non svolge attività assicurativa ma si limita a gestire e/o investire le risorse assegnatele sotto forma di premio dall’assicurato-rispamiatore, in cambio di un corrispettivo, scorporato dal premio medesimo.

In questa ipotesi l’assicuratore è un investitore a tutti gli effetti.  E’ chiara la differenza A) sia con la funzione previdenziale svolta dalla assicurazione sulla vita che B) con quella di risparmio realizzata dal contratto di capitalizzazione.

Peraltro questa qualificazione solleva alcuni problemi. Oltre che quelli di disciplina – ossia interferenza della disciplina del cod. ass. con quella del tuf che vedremo – occorre interrogarsi in ordine alla compatibilità, sul piano sostanziale, della stipulazione di tali contratti (generalmente in forma standardizzata) da parte delle imprese di assicurazione consentita dal codice delle assicurazioni, con la riserva soggettiva in favore delle banche, delle imprese di investimento e delle SGR posta dal TUF (artt. 18 e art. 33) con riguardo all’esercizio professionale dei servizi di investimento (e, segnatamente, alla gestione di portafogli individuali di investimento) e alla gestione collettiva del risparmio.

Infatti, nel momento in cui si prende atto che concludendo questo tipo di contratti le imprese di assicurazione compiono una attività di gestione del risparmio nell’interesse dell’assicurato-risparmiatore, che, quoad effectum, anche se non sono esattamente riconducibili a siffatte figure contemplate nel TUF presentano sensibili affinità con le stesse, emerge una rilevante disarmonia, nell’assetto complessivo del mercato finanziario, derivante dalla piena ammissibilità delle polizze in questione nel settore assicurativo, pur in presenza della  riserva soggettiva per l’esercizio professionale nei confronti del pubblico delle ricordate attività del mercato mobiliare.

Le convenzioni per la gestione dei fondi pensione. – Le “operazioni di gestione di fondi collettivi” contemplate dal ramo VI dell’art. 2 cod. ass., attengono ai rapporti contrattuali (c.d. convenzioni di gestione) che si instaurano, nel contesto dei c.d. fondi pensione chiusi o negoziali in regime di contribuzione definita, tra i soggetti (c.d. fondi pensione) (organizzati nella forma di associazioni non riconosciute oppure di enti dotati di personalità giuridica del Libro I c.c.) che raccolgono dagli aderenti i contributi e le imprese di assicurazione, in qualità di soggetti espressamente ritenuti idonei dalla legge (insieme alle società di intermediazione mobiliare (SIM), alle banche e alle società di gestione del risparmio (SGR) a gestire tali risorse per poi riversare gli effetti della gestione in capo al fondo che, successivamente, provvederà a compiere le ulteriori operazioni necessarie per erogare le prestazioni pensionistiche (Relative alla morte, alla sopravvivenza e alla cessazione o riduzione della attività lavorativa).

  Siffatto accordo di natura gestoria è stato munito di una regolamentazione unitaria che prescinde dallo status dei soggetti abilitati a stipularlo e, quindi, dalla disciplina settoriale riferibile ad ognuno di essi. Ciò costituisce un preciso segnale della recente e apprezzabile tendenza, riscontrabile nel mercato finanziario (in senso lato), a prevedere, dove possibile, una disciplina per prodotto (rectius per atto) in luogo della tradizionale regolamentazione per soggetto (o per attività). 

Tendenza che costituisce espressione della progressiva integrazione – anche sul piano normativo – delle diverse attività del mercato finanziario, registrata e per alcuni versi auspicata anche dal Consiglio di Stato (parere 14 febbraio 2005, n. 11603, nn. 5 e 5.1).

Per effetto di tale convenzione i soggetti abilitati assumono, contro un corrispettivo certo e prefissato, l’obbligo di investire le risorse ricevute dai fondi pensione “per conto” di questi, tenendo conto dei criteri stabiliti dalla legge e dalle fonti secondarie alle quali questa rinvia, e, successivamente, di rimettere agli stessi enti l’intero risultato della gestione.

La legge, ha stabilito espressamente che siffatte risorse – che costituiscono, appunto, il patrimonio del fondo pensione – debbono essere mantenute separate dal patrimonio del gestore

Disciplina valevole per i prodotti finanziari delle imprese di assicurazione (linked e capitalizzazione)

La legge ha espressamente previsto l’applicabilità ai  prodotti finanziari delle imprese di assicurazione di una parte della disciplina contenuta nel TUF e, segnatamente, delle regole relative ai contratti (artt. 21 e 23), all’offerta fuori sede (art. 30) e all’offerta al pubblico di prodotti finanziari diversi alle quote o azioni di OICR aperti  (artt. 94-98-bis, 99 ss.). Poiché, d’altro canto tali modelli rientrano – evidentemente – anche nell’area applicativa del codice delle assicurazioni, l’interprete si trova innanzi ad un quadro regolamentare assai articolato e frammentario nel cui ambito, allo stato, alcuni profili risultano disciplinati in maniera concorrente da fonti di pari grado – quali, appunto, il codice delle assicurazioni ed il TUF – e, in particolare, può riscontrarsi, con riguardo ad alcune attività, la sovrapposizione dei poteri di controllo dell’ISVAP e della CONSOB.

Più in particolare per osservare il compito assegnatomi dagli organizzatori – offerta e responsabilità – posso approfondire la disciplina dell’offerta sia fuori sede che al pubblico che la responsabilità.

Disamina

Si diceva che vi possono essere interferenze allorquando le regolamentazioni previste dalle due fonti in ordine a un dato profilo della fattispecie non sono omogenee e, quindi, l’interprete si trova nella necessità di scegliere tra due norme che prevedono conseguenze diverse; ossia, quando è riscontrabile una antinomia nel sistema.

Con riferimento alle responsabilità non vi è una vera e propria interferenza. La peculiare regola sull’onere della prova – che, come noto, pone a carico del soggetto abilitato la dimostrazione di aver prestato la diligenza dovuta nell’eventuale giudizio di risarcimento dei danni intentato dal cliente – è prevista, infatti, in maniera identica, tanto dal comma sesto dell’art. 23 TUF, quanto dall’art. 178 cod. ass.: conseguentemente, l’applicazione dell’una o dell’altra norma all’ipotesi di inadempimento dell’impresa nel contesto delle polizze linked, e del contratto di capitalizzazione si rivela del tutto indifferente. Sul piano della teoria delle fonti – come è stato messo in evidenza dalla dottrina specialistica (Bobbio, voce antonomia) – , tale indifferenza riposa sulla circostanza che l’astratta riferibilità di due diverse norme alla stessa fattispecie (contratti finanziari emessi dalle imprese di assicurazioni), non determina una ipotesi di vera e propria antinomia quando tali norme prevedono le stesse conseguenze. 

Diverso è, per contro, il profilo relativo alla regolamentazione dello ius poenitendi, nell’ambito dell’offerta fuori sede. Con riferimento all’offerta fuori sede, infatti, il TUF stabilisce, al comma sesto dell’art. 30, la sospensione dell’efficacia del contratto nel periodo – pari a sette giorni – durante il quale l’investitore può esercitare il recesso. Il codice delle assicurazioni (art. 177), viceversa, prevede con riferimento a tutte le assicurazioni dei rami vita (comprese, quindi, quelle del rmo III), un termine per esercitare il recesso assai più lungo (trenta giorni), nel contesto di un contratto che, per contro, è immediatamente efficace.

La scelta dovrebbe essere fatta sulla base del criterio di specialità in quanto la fattispecie contemplata dal tuf. ha un elemento in più di quella del codice delle assicurazioni, la connotazione finanziaria del contratto stipulato dalle imprese di assicurazione, appartenente al ramo vita (anche il criterio cronologico farebbe pervenire allo stesso risultato in quanto le disposizioni recepite nel tuf sono successive anche se di pochi giorni al codice delle assicurazioni).    

Ancora, con riferimento all’ipotesi di offerta al pubblico di sottoscrizione e di vendita, ossia di sollecitazione all’investimento, può rilevarsi che la disciplina del prospetto prevista dal TUF è diversa e più rigorosa rispetto alle regole in tema di nota informativa e di interpello, poste dall’art. 185, comma quarto, per le assicurazioni dei rami vita.

Si è detto, al riguardo, che La legge sul risparmio (2005/262) e il successivo d. lsg. n. 303/2006 che coordina la stessa legge con il TUB e con il TUF, hanno stabilito con chiarezza che ai prodotti finanziari delle imprese di assicurazione, si applica la disciplina sull’offerta al pubblico (già sollecitazione all’investimento) e quindi, sostanzialmente, l’obbligo di redigere il prospetto informativo (artt. 94 ss. TUF) nel dovere di redigere il prospetto d’offerta, seppure con il regime speciale e attenuato di cui agli artt. 31 32 e 33 del regolamento Consob Emittenti, che non contempla la necessità della preventiva approvazione da parte della Consob, bensì la mera comunicazione a tale Autorità del prospetto “contestualmente all’avvio della sollecitazione”; tuttavia, i contratti dei rami III e V vita in quanto emessi da imprese di assicurazione rientrano astrattamente anche nell’ambito di applicazione della disciplina relativa alla trasparenza del cod. ass. e della circolare 551/D, ora abrogata.

Tale problema ha assunto una rilevanza particolare con riferimento alla nota informativa, alla quale, appunto, sulla base di queste norme, parevano essere soggette anche queste figure. Particolarmente significativo è l’art. 185, comma quarto, cod. ass., il quale dispone, con riguardo alla nota informativa, che “nelle assicurazioni di cui ai rami I, II, III, IV, e V l’ISVAP determina le informazioni supplementari che sono necessarie alla piena comprensione delle caratteristiche…,”. Tale formulazione lascia dunque intendere che la nota informativa è riferibile anche ai prodotti dei rami III e V.

Tali oggettive interferenze e difficoltà di coordinamento hanno determinato delle dissonanze in dottrina, soprattutto in ordine alla possibilità di reputare compatibili e quindi  coesistenti l’obbligo di redigere il prospetto e quello di consegnare la nota informativa.  In estrema sintesi può osservarsi che anche ipotizzando – come qualcuno ha fatto – che i due istituti non siano da considerare perfettamente equivalenti, essendo il secondo deputato soprattutto a fornire informazioni su fatti storici, ossia soggetti al giudizio di verità/falsità, laddove la nota informativa conterrebbe, invece, in maniera prevalente, delucidazioni e chiarimenti su regole giuridiche e solo marginalmente informazioni su fatti storici, non può dubitarsi che entrambi siano da annoverare tra gli strumenti volti ad assicurare al contraente-risparmiatore la conoscenza e/o la conoscibilità del prodotto, ovvero, in sintesi, a soddisfare le esigenze di trasparenza e tutela preventiva (dottrina maggioritaria).

Essendo dunque evidente la sovrapposizione tra i due istituti, era senz’altro auspicabile una scelta, anche al fine di non duplicare gli oneri a carico dell’impresa suscettibili di essere successivamente trasferiti sul cliente nella determinazione del premio. Tale scelta è stata fatta, esattamente, sulla base del criterio di specialità (criterio che consente di risolvere il conflitto tra norme) considerando i prodotti assicurativi dei rami vita come il genus del quale le polizze finanziarie rientranti in tali rami costituiscono le species e ancora, la normativa del prospetto contenuta nel TUF e nel regolamento Consob emittenti come norme speciali rispetto a quelle del settore assicurativo.

Il regolamento n. 35/2010, oramai in vigore, ha definitivamente risolto il problema in tale direzione, in quanto ha circoscritto l’applicabilità delle disposizioni relative all’informativa precontrattuale (artt. 4 ss., del regolamento n. 35/2010) – che prevedono e disciplinano il fascicolo informativo, ossia il documento comprensivo della nota informativa – ai soli “prodotti assicurativi vita”, con sicura esclusione dei prodotti finanziari assicurativi di cui ai rami III e V.

La differenza tra prospetto e nota informativa, del resto, appare ulteriormente attenuata dall’espressa previsione nello schema di scheda sintetica (contenuto nell’allegato 1 al regolamento n. 26/2010) e al quale rinvia espressamente il comma 1 dell’art. 7 (stabilendo che “Le imprese predispongono una scheda sintetica per i contratti con partecipazione agli utili sulla base dello schema di cui all’allegato 1”), la quale dispone che siano fornite informazioni precise sulla situazione patrimoniale dell’impresa di assicurazione, e, segnatamente, che sia indicato «l’indice di solvibilità riferito alla gestione vita, precisando che rappresenta il rapporto tra l’ammontare del margine di solvibilità disponibile e l’ammontare del margine di solvibilità richiesto dalla normativa vigente» (par 1, punto 1.b). E’, prevista, dunque l’informazione su un fatto storico, il ché avvicina sensibilmente la alla disciplina della nota a quella del prospetto nel cui ambito le informazioni sono orientate a consentire di pervenire ad un «fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria » richiesto dall’art. 94 , comma secondo, TUF.

Occorre, infine, pur non essendo possibile approfondire ulteriormente il punto, che nonostante i passi avanti che il regolamento 35/2010 ha consentito di fare, permangono ancora dei problemi di coordinamento normativo con riguardo ai prodotti finanziari assicurativi. In realtà per addivenire ad una disciplina armonica complessiva, occorrerebbe affrontare tutti i profili disciplinali relativi ai prodotti finanziari assicurativi in un documento congiunto ISVAP-CONSOB.          

In conclusione possiamo sottolineare due aspetti: 

Il regime di tutela approntato dal tuf ed esteso ai prodotti finanziari assicurativi ossia alle polizze collegate e al contratto di capitalizzazione è opportuno per le prime che sono veri e propri contatti di investimento, ma forse non necessario e, quindi, eccedente per la capitalizzazione. Il legislatore non ha distinto, ha accomunato le due figure senza tener conto che solo le prime configurano contratti di investimento che necessitano dell’ampia tutela informativa che caratterizza il mercato mobiliare (la disciplina del tuf). I secondi, essendo contratti di prestito, necessitano di una tutela per la quale è sufficiente assicurare la stabilità dell’impresa nonché le comuni regole di trasparenza contenute nel codice delle assicurazioni (non è necessario, in particolare, il prospetto informativo).

Secondariamente va osservato che la sottoposizione al tuf dei prodotti assicurativi finanziari oltre che sul piano specifico della tutela dell’investitore, assume una notevole rilevanza sul piano sistematico, in quanto costituisce un passo avanti significativo ed apprezzabile verso la tendenza, ricordata in precedenza, auspicata oltre che dalla dottrina dal Consiglio di Stato, alla  integrazione ed omogeinizzazione – anche sul piano normativo – delle diverse attività del mercato finanziario, mediate la realizzazione, con riguardo a tutte le attività negoziali di carattere finanziario della predisposizione di una disciplina per prodotto (rectius per atto) in luogo della tradizionale regolamentazione per soggetto (o per attività), che conduca ad un trattamento normativo unitario di tutte le fattispecie negoziali che presentino i medesimi caratteri, il quale prescinda quanto più possibile dallo status dei soggetti abilitati alla loro stipulazione e, quindi, dalla disciplina settoriale riferibile ad ognuno di essi.

Una significativa manifestazione di tale integrazione, si è visto, è riscontrabile nella disciplina delle forme pensionistiche complementari e segnatamente, delle convenzioni per la gestione dei fondi pensione di cui all’art. 6, comma primo, del d. lgs. n. 251/2005, che sono assoggettate alla medesima disciplina quantunque possano essere legittimamente stipulate da soggetti diversi del mercato finanziario.

Una altrettanto impostante manifestazione, inoltre, è rinvenibile nella normazione contabile affermatasi recentemente e contenuta nei principi contabili internazionali denominati IAS/IFRS.

Ricordiamo molto sinteticamente che si tratta di regole sul bilancio che il regolamento comunitario (del Parlamento e del Consiglio) n. 1606/2002 ha introdotto l’obbligo di utilizzare per alcune categorie di imprese societarie – tra le quali  quelle di assicurazione – ai fini (quanto meno) della redazione dei  conti consolidati; tali regole, elaborate da un organismo di diritto privato, acquistano efficacia giuridica se  preventivamente omologate mediante il recepimento in regolamenti della Commissione. Nel momento in cui avviene tale incorporamento i principi assumono l’efficacia normativa propria di tali regolamenti di attuazione e, pertanto, da norme tecniche assurgono al rango di norme giuridiche.   

Nell’ambito di queste regole contabili è previsto che le tutte le operazioni di carattere finanziario, anche se poste in essere da imprese di assicurazione, sono da contabilizzare secondo i principi contenuti degli negli IAS 39 e 32, riferiti agli strumenti finanziari, mentre sono riconducibili allo IFRS 4, che disciplina i contratti assicurativi, solamente i contratti  caratterizzati dal rischio di un evento futuro ed incerto.   

Con una notazione davvero finale possiamo, quindi, rilevare un ritorno ai principi generali del diritto privato. Sulla base di questa tendenza apprezzabile, adesso, per qualificare questi prodotti, si parte dalla funzione, dalla causa del contratto e si arriva dalla disciplina. Si abbandona progressivamente il metodo inverso, che assoggetta tutti i negozi stipulati da un soggetto con determinate caratteristiche, in particolare sottoposto a vigilanza prudenziale (banche, assicurazioni, altre imprese finanziarie) a una data disciplina. Verso quest’ultima impostazione, sono sempre state espresse delle perplessità, in quanto conduce in definitiva alla violazione del principio di uguaglianza, si disciplinano fattispecie analoghe in modo differente (depositi bancari vincolati e capitalizzazione) o fattispecie diverse in modo analogo (capitalizzazione e polizze variabili).